29/07/2015 - San Francisco - La versione di Barbara



MERCOLEDI’ 29 LUGLIO 2015 – THE PRISON BY THE BAY


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Frase del giorno: MA CERTO CHE CI SONO, CERCA MEGLIO!

Oggi penitenziario! Abbiamo prenotato, e per fortuna, l’Early Bird per Alcatraz esattamente novanta giorni fa, all’apertura delle vendite. Un po’ per avere il resto della giornata libero, un po’ perché “il primo giorno è meglio di no, che se abbiamo problemi con il volo …” e un po’ perché “tanto con il fuso saremo svegli all’alba”. See, ci addormentiamo clamorosamente e scendiamo a colazione per le 7.30 … considerando che l’imbarco è alle 8.45, che dobbiamo essere là mezz’ora prima e che il cable car ci lascerà ad almeno dieci minuti di cammino … ARGH!!! ma in qualche modo ce la facciamo, e raggiungiamo puntualmente il punto di raccolta, in una meravigliosa mattina di sole che promette benissimo anche per oggi.







La prima cosa che notiamo è il cartello che dice: NEXT TOUR AVAILABLE 25 AUG … apperò. Ovviamente guardiamo voluttuosamente dall’altro in basso la plebe che si affanna a cercare di comprare il biglietto sul momento ricevendo regolari due di picche alle casse, sventolando la nostra prenotazione e commentando, sempre sboronissimi:




Poco prima di raggiungere l’isola dal traghetto avvistiamo anche una foca, che tenerezza! Ma la visita della più infamous island prison (cit non so bene chi, ma la definizione mi è rimasta incollata ai pensieri) con il sole splendente non mi sembra molto indicata … e quindi? quindi nebbia! una coltre soffice, grigiotta e ciciotta ci avvolge appena sbarcati – secondo me la ordinano su Amazon e la spargono ogni mattina – e ci accompagna fino allo sbarco al Pier 33 dopo tre ore buone. Ci da anche modo di sghignazzare sulla “bellissima vista della città” che secondo i cartelli esplicativi si gode dal cortile adiacente l’Administration Building, e di provare una certa qual pelle d’oca ogni volta che si sente la sirena di una nave vibrare nell’aria densa. Non posso fare a meno di pensare ai detenuti, a come potevano percepire questo vago suono di libertà, uno dei pochissimi probabilmente ad arrivare fino a loro, insieme a quello dei fuochi la notte di Capodanno.













Lo so, per essere finiti qui avevano i loro meriti … eppure non riesco a ricordare senza un brivido la visita all’isola, immagino il clangore delle sbarre che si chiudono sui pensieri dei prigionieri la sera e si riaprono sui sogni bruscamente interrotti la mattina, il sordo rimbalzare dei sassolini che tenevano compagnia nel buio delle celle di isolamento a chi era in punizione, il silenzio spettrale nella biblioteca a cui l’accesso era un privilegio raro, al rumore dei cucchiai sul fondo dei piatti nella sala mensa, alla tensione palpabile dei secondini che sorvegliavano i pasti. E visto che non si sa nulla della fine che hanno fatto gli unici tre prigionieri che nel 1962 sono riusciti – presumibilmente – ad evadere, mi scopro a fare il tifo per loro, dimenticando per un momento che si tratta di criminali, e pensando soltanto che nel mio piccolo ho sperimentato la mancanza di libertà come la peggiore delle torture, anche se ero “solo” soffocata in un rapporto di coppia sbagliato ed opprimente.









Conclusa ed apprezzata moltissimo la visita, abbiamo saccheggiato lo shop ed io mi sono comprata l’autobiografia di uno degli ultimi detenuti che hanno lasciato il carcere, che guarda caso era lì di persona a firmarne le copie per chi lo desiderasse. Non mi sono messa in coda, un autografo – di chiunque sia - non ha significato per me, ma questo vecchietto indomito mi ha fatto una gran tenerezza, e ho ammirato il coraggio di tornare così serenamente in un posto dove non ha certo vissuto i suoi momenti migliori. Per soldi si fa tutto, dite? può darsi, ma preferisco tenermi le mie illusioni 😏


Rientrati con il sole che è tornato a splendere sulle nostre testine, ci concediamo una pausa sana e salutare: corn dog! e questo non è un chihuahua come quello di New York … direi che siamo più sul terranova 😁. L’unica cosa che mi perplime è che è di beef, mentre io di solito frequento il pig, ma son democratica e non mi formalizzo, purché sia una porcata micidiale va ben tutto 😎. Gnam.
Dopo il salutismo, la cultura: raggiungiamo il Pier 45 con Paolo che mi canticchia Otis Redding in un orecchio (e adesso ogni volta che sento o anche solo penso Sittin’on the dock of the bay torno laggiù con un sorriso) e proviamo con il Pampanito, ma la nostra prenotazione è per l’entrata tra le 13.30 e le 14.00, e ci rimbalzano. Alla cassa c’è un americano-misto-orientale alquanto agée, secondo Paolo è un volontario e me ne dimentico subito … mi ricorderò di lui nei giorni successivi, quando ci ritroveremo spesso ad interagire con persone decisamente anziane ancora al lavoro.

E con decisamente anziane intendo che hanno tutta l’aria di aver passato i settanta da un po’ … ci sono rimasta malissimo, ogni volta mi sentivo presa a sberle. Non ho mai fantasticato di venire a vivere qui, adesso meno che mai. Lo sapete già, credo, nonostante tutto quello che qui non va amo l’Italia, e non credo sia uno dei posti peggiori al mondo dove nascere, anzi … ho una madre di 64 anni già un po’ acciaccata che vive con meno di 700 euro al mese di pensione, ma abbastanza serenamente, e con il mio aiuto non è costretta ad arrotondare. Immaginarla ancora in piedi per sette ore al giorno dietro alle casse di un Walmart di provincia, con i clienti impazienti per la sua lentezza, con il terrore di non avere i soldi per ammalarsi, mi ha fatto male. Perdonate l’OT sentimentale, ma a fare solo cronaca non sono mai stata brava e tendo a divagare



Eravamo rimasti rimbalzati dal Pampanito, giusto? Bene, è solo mezzogiorno e quindi ci avviamo alla Jeremiah O’Brien, ancorata subito dietro, convinti di sbrigare la pratica in meno di un’oretta e contenti di non aver potuto preacquistare il biglietto, che con il senno di poi, neanche per il Pampanito sarebbe stato necessario. La O’Brien è una delle due navi da trasporto classe Liberty tra le 2710 costruite durante la seconda guerra mondiale ancora operative ed oggi visitabili negli Stati Uniti (la seconda è a Baltimora) … quando ne ho letto, scoprendo che il 6 giugno del ’44 si trovava al largo di Omaha Beach, non sono riuscita a resistere, e con un po’ di titubanza ho chiesto a Paolo se poteva interessargli – visto che avevamo già in programma Pampanito e Planes of Fame a Chino, non volevo esagerare – e ohibò, è stato meglio che invitarlo a nozze, ci credereste? Essendo un tipo noioso e poco femminile, sono appassionatissima di storia, anche militare, e tutto ciò che è connesso allo sbarco in Normandia esercita su di me un fascino particolare, soprattutto dopo i due viaggi che ho fatto in zona nel 2004 e nel 2008, quindi la visita mi ha conquistata (specie dopo che ho terminato l’ascesa della ripidissima e barcollantissima – si dice? no, ma era barcollantissima lo stesso – scaletta da capre che portava da terra al ponte, scoprendo solo alla fine che QUALCUNO dietro di me l’ha fatta tutta saltando, apposta per farla ballare, visto che LUI è un vecchio panda di mare) e mi sono accorta per puro caso che erano quasi le due.














Preso il panda di mare per la collottola, mi sono precipitata giù dalla barcollantissima – stavolta mandandolo avanti – e ci siamo avviati al sottomarino. Visita molto più breve date le dimensioni, ma altrettanto interessante. Soprattutto il passaggio da un compartimento all’altro attraverso le tremiladuecentocinquantasette porte con il rialzo per evitare il passaggio dell’acqua: amore, facciamo che io mi incastro di culo e tu di pancia? la nostra agilità elegantemente libellulesca ha provocato più di qualche convulsione da riso nei fortunati che hanno compiuto la visita insieme a noi, e attacchi di ilarità durati fino a sera nei due agilissimi. Beh, dopotutto è l’eleganza che ci manca, mica l’autoironia 😜












E’ risaputo che la cultura mette fame, e poi ormai sono le tre e il canecaldostrafritto di prima ormai è un pallido ricordo, quindi puntiamo spediti e a colpo sicuro The Codmother Fish & Chips in Beach Street, già classificato da casa come “lurido” 😁. Non restiamo delusi, ma ne usciamo provati: le porzioni sono decisamente americane e io dopo un po’ mi arrendo, ma il fish&chips con la salsa all’aglio fresco e i due minitacos con i gamberi fritti sempre in salsina all’aglio sono davvero deliziosi. Per reciproca fortuna entrambi amiamo aglio e cipolla, sia crudi che cotti (l’ho già detto che sono eterea e raffinata, si? mi sa che nella mia vita precedente ero un camionista transilvano 😂) e il nostro ammmòre non ne risente minimamente.







Tra la visita al Musée Mechanique e un salto al Fisherman’s Wharf – dove facciamo anche un giro per negozi: per la cronaca, quello per mancini, e non lo siamo, quello che vende solo salse piccantizzzzzzime e quello per aspiranti prestigiatori – una sosta pipì e un saluto ai leoni marini si fa l’ora di tornare in hotel, anche se abbiamo già deciso di cenare qui al Wharf l’aria si è fatta pungente e siamo senza felpa, e poi un’oretta di relax in camera ci sta tutta. Passiamo la mezz’ora di attesa alla fermata del cable car in coda a pomiciare, indecorosamente visto che abbiamo pur sempre novant’anni in due [ottantasetteeeeeeee!!!! ] e poi una volta giunti in camera ci dedichiamo coscienziosamente a fare casino. E’ incomprensibile e ha del soprannaturale il modo in cui qualunque stanza in cui entriamo insieme dopo mezz’ora sembri il teatro di un’esplosione atomica … due precisini come noi! mah …















Alle sette e mezza usciamo, congeliamo per un po’ alla fermata, un po' prima delle otto finalmente si appropinqua un cable car – oh, la sera non passano mai! - e io chiedo a Paolo di prendere i Muni Pass dalla taschina piccola in basso a sinistra sotto il moschettone a destra del gancio inferiore del risvolto della chiusura del mio zainetto. Dopo una vigorosa smucinata, mi viene comunicato che i pass non ci sono, e io rispondo sdegnata: MA CERTO CHE CI SONO, CERCA MEGLIO, che ricordo benissimo di averli messi nella taschina eccetera! Niente, mi si risponde. Entro in modalità “Ah, gli uomini” e comincio a smucinare a mia volta. Niente. Ehm. Stai a vedere che nel corso dell’esplosione atomica si sono – da soli, chiaramente – come dire, spostati. Ehm. A questo punto un altro uomo mi avrebbe mandata direttamente SOTTO il cable car, invece San Panda delle Disperate si limita a mettersi a ridere e spedirmi in camera a fare ricerche “che io intanto mi fumo una cicca” … mi sa che il merito non è proprio TUTTO mio se in un anno non abbiamo mai nemmeno discusso :megalol:
Quando arrivo su, i Muni Pass mi sorridono e mi fanno ciao come le caprette di Heidi da sotto una pila di guide, magliette usate, mutande da usare, batterie della reflex, un biscotto mangiucchiato e una bottiglietta di Mountain Dew. Come dicevo, appunto: si sono spostati da soli . Torno alla fermata, surgeliamo per un altro buon quarto d’ora e quando stiamo per arrenderci e puntare Lori’s Diner che è proprio qui sotto spunta una vettura in lontananza … ovviamente per il capolinea sbagliato. Ma il conducente ci esorta a salire lo stesso, ci dirà lui dove cambiare … e infatti in pochi minuti arriva la coincidenza.
Abbiamo una serie di indirizzi, ma ci infiliamo nell’unico che non ci siamo segnati, Nonna Rose, senza fare caso al nome semi italiano … ma per fortuna ci va piuttosto bene ugualmente. Buonissima la clam chowder, e divino il granchio, che spolpiamo coscienziosamente … io poi vengo anche Illuminata dal primo assaggio di Blue Moon. Sono forse le nove e venti quando ci rendiamo conto che siamo rimasti solo noi. Il nostro cameriere biascica qualcosa che in dialetto veronese potrebbe suonare come “te gavaré mìa intension de tor anca el dolce, era?” e saggiamente decidiamo di togliere le tende. Con una buona dose di sconcerto scopro che intorno si è fatto il Sahara, ed è quasi tutto chiuso … ma siamo a San Francisco o a Beccacivetta?

Non che avessimo intenzione di fare sfracelli, la giornata è stata intensa e ce ne saremmo comunque andati subito a nanna, però non me lo aspettavo, tanto silenzio. San Francisco, ti amo sempre di più.

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