02/08/2015 - Yosemite - Mono Lake - La versione di Barbara

DOMENICA 2 AGOSTO 2015 – YOSEMITE/BRIDGEPORT
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Frase del giorno: PERO’ … IN DISCESA SIAMO DELLE BESTIE!

Risveglio tranquillo, toilette sommaria, colazione con biscotti e … biscotti , e in un attimo siamo pronti.

Quando mi sono appassionata ai viaggi a piedi ho scoperto che mi piace ascoltare le voci di camminatori grandi e piccoli tra le pagine dei libri, e una delle frasi che più hanno colpito il mio cuore e la mia fantasia è quella che oggi costituisce il motto e lo scopo di ogni mio viaggio ben riuscito: Leave nothing but footprints, keep nothing but memories … e guardando la nostra piazzola, dopo che abbiamo smontato e riposto la tenda, penso con un sorriso che per oggi ci siamo riusciti, a lasciare solo le nostre impronte (no, niente tappetini in giro ) ... e che i ricordi che ci portiamo via accompagneranno i nostri passi a lungo, stupendi fermo immagine della Storia di noi due.

Ci avviamo alla Valley, che ieri sera ho contemplato da un chilometro di altezza da Glacier Point, con Paolo che mi teneva per la manica con un rassicurante tranquilla che ci sono io, guarda pure giù, ancora un passo, ancora un altro passo che curiosamente non mi rassicurava affatto .

Poco più di mezz’ora di strada da Wawona, e dopo la bellissima vista da Tunnel View – per le foto non è l’ora migliore, ma pazienza, c’è pur sempre uno splendido sole – arriviamo al parcheggio da cui parte il breve trail per le Bridalveil Falls, data la stagione e la siccità ridotte a un rivolo, ma comunque sempre un bel vedere. Tornando incontriamo Bambi che bruca tranquillo a bordo strada e ci permette di avvicinarlo più di quanto ci conceda la mia gatta zitella acida se è di malumore … che felicità cominciare la giornata così, ignorando i commenti di Paolo su quanto sarebbe buono con la polentina che faccio io














Passiamo davanti al Capitan senza fermarci, ne ammiro la maestà con la coda dell’occhio ma è ora di raggiungere il Visitor Center: mi scappa la pipì, ho voglia di caffè e bramo la calamita. Tacitata la rompiballe con anche un megamuffin, Paolo si fa dare qualche indicazione dai ranger sui trail e sul meteo, visto che la lavagnetta dietro il banco informazioni a dispetto del sole che brilla valuta oltre il 30% la probabilità di pioggia … decidiamo di confermare il programma, si va alle Vernal, o almeno si va avanti finché ce la facciamo … c’est a dire, fino al primo dei gradini alti, sconnessi e purtroppo per me aperti sulla scarpata che conducono alla cima della cascata. Paolo finge di temere problemi alla caviglia per non umiliarmi, anche se lo invito ad andare avanti senza di me … so che può sembrare stupido ma ho imparato a mie spese che ci sono occasioni in cui è cosa buona e giusta sforzarmi di superare i miei terrori, e altre in cui sarei solo di ostacolo. C’è parecchia gente, e se mi piantassi a metà salita in pieno attacco di panico romperei le scatole al mondo e basta … non è il caso, anche se la voglia c’è.









Mi faccio bastare l’essere arrivata fin qui su un sentiero di discreta pendenza, tanto più che non cammino seriamente da mesi e quindi ho avuto bisogno di più di qualche pausa e diversi ettolitri d’acqua. Torniamo indietro e ci fermiamo vicino al ponte, dove ci sono i bagni, a mangiare un paio di frutti, a sogghignare sulle condizioni pietose di altri allenati escursionisti e delle asiatiche con le zeppe, a guardare gli scoiattoli e le gazze blu.












Ed è qui che avviene il fatale incontro con lo Psicoiattolo (fatale per Paolo, che non avrà pace finché non me ne avrà comprato uno ) … il notevole esemplare, a differenza dei suoi più timidi simili, anziché guardare di sotto in su con aria supplichevole chiunque stia masticando qualcosa punta agguerrito prima una bambina indecisa e poi Paolo, improvvisando una danza propiziatoria con le zampette tese, e spostando poi le sue attenzioni su di me … ci abbiamo giocato, lo abbiamo provocato e ne abbiamo riso tantissimo, e di nuovo siamo finiti nelle foto di mezzo Giappone.









Riprendiamo la discesa (Babi, per caso hai visto se ci sono cestini per i rifiuti? si Pa, uno è lì vicino al signore cinese morto con gli occhi sbarrati) e Paolo, fierissimo di se stesso e di me, mi fa notare che PERO’ … IN DISCESA SIAMO DELLE BESTIE!
E infatti in un attimo siamo alla fermata della navetta … un rapido pranzo in riva al Merced con i panini preparati stamattina e siamo pronti a risalire sul bus, destinazione Ahwanhee. Non ho letto il libro e non ho visto il film, ma dato che sto con uno dei più fedeli adepti di Mr King non mi sognerei mai di mancare la visita, specie quando il mio pandone si trasforma in un ghignante Jack Nicholson: “Babi, tesoro. Luce. Della. Mia. Vita. Vero che ci andiamo?” … bene, posso vantarmi di aver fatto pipì all’Ahawanee, adesso. Però ho inoltrato formale protesta alla direzione, neanche un bambino col triciclo in giro!





(Jack Pandance )
Scroccato un po’ di wifi, fatto un giro allo shop del Visitor Center e bevuto un altro lunghissimo caffettone siamo pronti a rimetterci sulla strada … ma prima pausa foto, in silenziosa ammirazione, ai piedi del Capitan: adesso la luce è giusta, abbacinante e caldissima.





Mi congedo da questo parco che ha piacevolmente superato le mie aspettative con un pizzico di dispiacere, ci sono altri trail che avrei voluto fare e altri momenti che avrei voluto vivere qui … ma c’è tanto altro che ci aspetta. Prima di tutto, la Tioga Road … ecco, per quella le mie attese erano alte, e non sono andate deluse. Ho lasciato il volante a Paolo, al3cs, mi aveva a suo tempo avvertita che in alcuni tratti la strada è abbastanza esposta e ho preferito non rischiare altri infarti dopo quelli multipli di ieri a Kings Canyon … anche se con il senno di poi è stato quasi peggio quello, sono felice di essermi goduta appieno la strada magnifica, i panorami dolcissimi, il cielo così grande e la luce divina del mezzo pomeriggio.


















Soste foto a Olmsted Point, a Tenaya Lake e anche a Dove Capita … fin troppo facile perdere la nozione del tempo tra uno scatto e l’altro. Arriviamo a Lee Vining, un posto sconcertante: dopo averlo tanto sentito nominare sul forum mi aspettavo un bel paesone, che so, Legnago, o almeno Anguillara Sabazia … e mi trovo du’ case in croce, un benzinaio e un paio di cartelli pubblicitari: QUESTA è Lee Vining? e il resto dove l’hanno messo? ah, non c’è un resto.













Paolo se la ride, io continuo a brontolare finché avvistiamo il Mono Lake … e ci rendiamo contro che il tramonto sui tufa ce lo possiamo scordare, c’è la montagna di mezzo e andranno in ombra prima che il cielo si accenda.

Non abbiamo nemmeno il tempo di restare delusi, perché arriviamo al parcheggio di uno dei punti di accesso alla riva - tre dollari, buste da compilare e penna a disposizione per farlo, bossolo per depositare il pedaggio e ciao – e restiamo catturati dall’atmosfera surreale e metafisica di quello che sembra uno scarto della creazione dimenticato lì per sbaglio, uno scenario di bellezza assoluta e desolata. Un vento fortissimo ci scompiglia i capelli e i pensieri, porta via le nostre voci e mi regala una impagabile sensazione di libertà.

Siamo quasi soli, la magia cresce e ce ne restiamo in silenzio, paghi della reciproca compagnia e del clic-clac delle reflex che tramonto o non tramonto facciamo lavorare assai.











Lasciamo a malincuore questo posto che ci ha portati lontano, e arriviamo, in ritardo come sempre, al Virginia Creek Settlement. In ritardo perché al ristorante la cena è servita solo fino alle nove, sono già quasi le otto e noi che puzziamo come caprette dopo due notti nei boschi selvaggi vorremmo fare una doccia e ripulirci un po’ … prenotiamo un tavolo per le otto e un quarto e ci precipitiamo a scaricare il nostro incasinatissimo bagaglio e il sacco a pelo in una delle cabin, per correre subito alle docce comuni: due dollari sette minuti, dice minaccioso il cartello.

Acci, quanto dureranno sette minuti, che non ho quarter a sufficienza per il secondo giro? mi insapono freneticamente, mi faccio lo shampoo più veloce del West e poi ... passo un’eternità in solitaria beatitudine sotto il getto bollente. Sette minuti durano … sette minuti , e sono molto più tempo di quanto ne impieghi normalmente per la doccia mattutina.

Esco felice, profumata ed affamata, e subito trovo un panda altrettanto felice, profumato ed affamato … cena buonissima, birra più buonissima, mi viene impedito con la forza di rubare la penna con cui ho firmato la ricevuta dell’Amex, mi perdo a contemplare le stelle, due Blue Moon ghiacciate mentre facciamo il backup delle foto al tavolo accanto alla nostra casetta: buonasera, felicità.


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