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28 agosto 2016 - Ouray - Montrose - La versione di Barbara
Domenica 28 agosto 2016
Tanto ieri è stata una giornata densa quanto oggi sarà rilassante … e ci
sta, dopo una decina di giorni vissuti al galoppo. Prima e unica tappa
di oggi, il Black Canyon of the Gunnison, che non ricordavo nemmeno di
aver sentito nominare prima di iniziare a programmare questo viaggio, e
che proprio per questo sarà una bellissima sorpresa. Le miglia da
macinare oggi sono poche, passeremo la notte a Montrose prima di
iniziare la volata finale verso Moab, insieme agli Antelope la tappa per
me più attesa della vacanza.
Ce la prendiamo relativamente comoda, dopo la colazione in camera a base
di muffin e caffè luuuuuuungo (ormai Paolo è diventato un esperto delle
infernali macchinette che rispondono al nome di bollitore e che io
riesco misteriosamente a far incazzare sempre
) e al grido di “ci metteremo un attimo ad arrivare a Montrose”
trasciniamo i valigioni su per le scale – sì, la camera da 75 dollari è
nelle segrete del castello
, ma siccome siamo in montagna e la montagna digrada abbiamo lo stesso
la finestra con vista, più o meno – e salutiamo i colibrì, che Paolo
riesce ad immortalare in un modo che ancora non gli ho perdonato e vi
mostrerà tra poco. Non dico che facciamo pari con i due fulmini, ma
insomma …
E ci metteremo effettivamente un attimo. Più gli spicci. Un’ora di
spicci, a spanne … si perché appena usciti da Ouray, cioè dopo dodici
secondi
, sul bellissimo rettilineo che porta a ovest ci fermiamo. C’è coda, come sul GRA all’ora di punta. Ci sarà un semaforo (ma se siamo nel Sahara!). Allora ci saranno lavori in corso (ma figurati, ormai sono quindici minuti che siamo fermi, nessun semaforo dura così tanto). Che ci sia stata una frana?
(ma dai, siamo nell’unico tratto piatto della zona). La gente comincia a
scendere per sgranchirsi le gambe, va in esplorazione e alla fine una
graziosa fanciulla torna col verdetto. Stamattina presto un pick-up è
finito nella piccola scarpata del torrente parallelo alla strada, che
ora è bloccata da un’autogru che tenta il recupero. Appurato che il
conducente non si è fatto nulla e scagliati un paio di affettuosi mortacci al
suo indirizzo, ci disponiamo all’attesa con animo abbastanza sereno:
fosse successo ieri ci avrebbe impicciato un bel po’, oggi per fortuna
come dicevo abbiamo un buon margine e solo il Black Canyon ad
attenderci.
E ci va pure bene: dopo una manciata di minuti, il poliziotto di
servizio decide di far defluire la coda su una stradina laterale
sterrata che segue il corso del torrente dal lato opposto alla strada e
sbuca alla fine su una strada secondaria asfaltata. Lo strapiombino
mette come sempre a dura prova i miei nervi d’acciaio biodegradabile :p e
approfitto del primo slargo – a doppio senso è, sto cavolo di sentiero!
– per sbottare: io mi fermo qui! Magnanimo il panda mi concede di
restare a bordo dopo essersi messo alla guida
. Appena lontani dal baratro riprendo possesso del bestio, e mentre vaghiamo a caso (segui quella macchina, è scassata quindi è un locale e sa dove andare!) nell’intrico di strade secondarie ci godiamo come pazzi il panorama.
È una zona bellissima, piena di case e fattorie bellissime ai piedi di
montagne bellissime. E non ci vivrei per diecimila dollari al mese … è
un posto meraviglioso e siamo d’accordo, ma la libreria più vicina sarà a
Denver, non parliamo di biblioteche, teatri, cinema, mostre, aeroporti e
stazioni. Morirei di tristezza nel giro di dieci minuti. E no, non sono
snob: mi hanno disegnata così, e anche se l’aggravarsi della mia
situazione mi ha messo un sacco di freni, non riesco a non avere voglia
di libri, di confronto, di arte, di cultura più di ogni altra cosa.
Questi posti mi riempiono il cuore e gli occhi, in vacanza, per qualche
giorno. Per viverci probabilmente dovrei esserci nata, e lo stesso
discorso vale per i paesini sperduti nelle vallate altoatesine, mi danno
le stesse sensazioni, quel misto di amore e odio che mi fa sempre
tornare felice nella mia Verona e nella mia Roma.
Ne usciamo, seguendo gli indigeni, e puntiamo un Walmart per procurarci
il pranzo e dilapidare altro tempo prezioso, ma quanto ci divertiamo?
Arrivati al Black Canyon cominciamo l’esplorazione lungo il corso del
Gunnison … si rivelerà una delle più belle sorprese del viaggio, questo
parco. Forse perché poco noto, è quasi libero da turisti … tranne
ovviamente il tizio che occupa senza chiuderlo il bagno in cui cerco di
entrare
Sì, perché ovviamente ho fame e mi scappa la pipì, quindi andiamo
diretti a High Point, il trailhead più lontano del parco, da cui inizia
il Warner Point Nature Trail, che ci siamo appuntati. Pipì e picnic
prima di tutto: le nostre insalate sono così buone che piacciono anche a
tutte le api e le vespe dei dintorni, che fortuna! :( Ne usciamo
comunque indenni, e armati di cartina con i disegni e le descrizioni
della flora e della fauna che è possibile incontrare sul sentiero
partiamo alla volta di Warner Point.
(caro indianino che tanto gentilmente ti sei offerto, perché quelle
in cui guardiamo in camera sono clamorosamente fuori fuoco e in questa
guardiamo gli elefanti volare bassi?
)
Come sempre, il sole splende glorioso sull’inizio della spedizione, e le
nuvole gongolano ancora più gloriose sulla metà, proprio quando siamo
più lontani dalla macchina e da qualsiasi tipo di riparo. Qualche
bubbolìo lontano, qualche cosa che con molta fantasia può sembrare un
lampo all’orizzonte … non ci fanno desistere, da bravi incoscienti ci
godiamo la passeggiata fino in fondo (puff, puff), giocando come bimbi
alla ricerca delle piante descritte, che troviamo praticamente tutte.
Con mia enorme delusione, nessuna bestiola pelosa ci gratifica della sua
compagnia, a parte un corvaccio spelacchiato che ci guarda con aria
lugubre.
È bellissimo come mi stanno tornando alla mente nitidi fotogrammi della
nostra passeggiata mentre ve la racconto, vedo il gradino sconnesso, il
contorno netto di una nuvola più chiara sul fondo grigio e soffice del
cielo, i ciuffi di foglie ribelli che non ne vogliono sapere di essere
verdi come le sorelle, le gambe sottili delle ragazzine atletiche che ci
superano guardandoci con ricambiata commiserazione, la pietra su cui ci
sediamo alla fine, le mani intrecciate e il sorriso soddisfatto di due
che si sono trovati e ora si trovano in un posto magnifico, soli e
completi. E’ quasi un dolore fisico alzarci e tornare indietro, ma è
ormai pomeriggio inoltrato, abbiamo tutti i viewpoint da esplorare
tornando al Visitor Center, dobbiamo comprare
il magnete del parco, e … fare almeno una lavatrice, sigh. La poesia è
bella che morta, tra pochi giorni puzzeremo come capre se non ci diamo
una mossa
(eh, che ci volete fare ... ormai mi sono affezionata
)
(a coso, anvedi che buc che t'ho fatto! :_dirol )
E infatti non ce la diamo: arriviamo a Montrose e al nostro hotel dopo le 17.30 sereni e fiduciosi, prendiamo la nostra stanza dal signore alla reception col pappagallo sulla spalla
, che sapendo che siamo in viaggio di nozze (ehm, ehm)
ci fa un upgrade alla suite – funeralesca come le stanze, ma grande il
doppio, con un letto di dimensioni adatte più ad Hagrid che a noi
– e ci dirigiamo tutti allegri con i nostri sacchettoni puzzolenti alla
vicina lavanderia. Che ha chiuso alle 18. Nuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!! E
adesso? E adesso ci sediamo nel patio a bere una birra, che altro vuoi
fare?
Per cena ci siamo segnati la Horsefly Brewery, sulla strada principale
come il nostro motel … non è lontana, ma visto che il cielo sta
iniziando a mantenere le promesse del pomeriggio andiamo in macchina per
evitarci una probabile doccia. Okay che puzziamo, ma non così tanto. E
nello scendere compio il primo passo (falso) di una strada lastricata di
gloriosi tentativi che mi condurrà finalmente a rompermi il mignolo
contro il bordo della vasca da bagno a gennaio
. Sono un tipo perseverante, non c’è che dire
. L’errore qui, che ha rimandato la riuscita del tentativo, è stato
solo quello di provarci prima di cena: dopo, con l’aiuto dei cinque
samples di birra che ci siamo eroicamente dedicati a valutare, sarebbe
probabilmente andato a buon fine :p
Proprio davanti alla porta, dove staziona un giovine fricchettone che
fuma con aria ebete, mi produco in un inciampone da manuale che per puro
caso non mi vede finire a pelle di leone ... e poi io, Paolo e i cocci
della mia dignità ce ne entriamo nel locale a berci sopra
Sarò onesta, l’hamburger non me lo ricordo, stava già iniziando a farsi
strada quel po’ di sofferenza per il cibo americano che non ho mai
provato nel corso del viaggio precedente, ma i jalapenos ripieni di
formaggio e bacon … beh, il ricordo ancora mi commuove fino alle
lacrime. O sarà il male ostinatissimo al mignolo sinistro?
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