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27 agosto 2016 - Durango - Silverton - Ouray - La versione di Barbara
Sabato 27 agosto 2016
Ci svegliamo con un bel sole, okay, fa freddo ma la giornata promette bene … almeno per ora 
Il titolare dell’albergo - che ce la tira - ci dà però anche un sacco di
consigli per la nostra giornata e ci regala qualche minuto di piacevoli
chiacchiere sorridenti. Fermatevi a Andrew Lake, dice, e ce lo mostra
su google maps con il satellite. Okay, ci vuole anche meno per
convincerci , ci fermeremo!
Il programma di oggi prevede il ritorno a Silverton per visitare mulino e
miniera, e giocare al Piccolo Cercatore, ma prima di tutto … ci siamo
segnati il Farmer’s Market del sabato qui a Durango, irresistibilmente
curiosi come sempre, e non restiamo delusi. Dapprima timida, dopo un po’
– e visto che Paolo non è stato linciato dalla folla inferocita
– mi metto a scattare anch’io, ma soprattutto mi godo enormemente
questa atmosfera da paese felice, da telefilm di provincia, l’aria
allegra della gente, il complessino che suona, gli ortaggi colorati, i
cani e i bambini … e un buonissimo panzerotto agli spinaci e formaggio
di capra che mi consola della colazione al Napisan (ingrata io!). Dopo
una mezz’oretta e un caffè quasi buono al drive in – dove naturalmente
andiamo a piedi
– siamo pronti a partire.
Quanto mi piace, ‘sto Colorado! Ci fermiamo quasi subito, sulla Hwy 550
appena fuori Durango, perché un cartello ci segnala le Pinkerton Hot
Springs e non possiamo certo farci sfuggire l’occasione di pucciare le
manine nella sorgente calda … dopo aver affidato amorosamente al compare
la reflex intimandogli di andare lontano. Più lontano. Ancora un po’
più lontano, ok?
Poco dopo ....
(apperò)
La sosta a Andrew Lake, a dispetto del cielo bigio e del freddo, si
rivela piacevole anche se fotograficamente meno gratificante di quel che
vorremmo: il cielo di un grigio soffice e compatto è quanto di peggio,
almeno ci fosse qualche bel nuvolone scenografico potremmo ottenere
qualcosa di più … ma non importa, ce la godiamo comunque.
(ho visto un puffo allontanarsi, ne sono certa!
)
La strada è bellissima, anche se ammetto che dal treno me la sono goduta
di più, e la parte più bella è in arrivo, quando dall’alto si vede la
piccola Silverton adagiata nella vallata.
Ci ha detto bene ieri, il meteo è decisamente peggiorato e sta iniziando
a cadere una fredda pioggerella che pizzica le guance. Ci fermiamo al
Visitor Center all’ingresso del paese per chiedere informazioni e
consigli sulla parte di Alpine Loop che vorremmo percorrere, e subito la
ranger surgela i nostri entusiasmi, già comunque raffreddati dal cielo
inclemente. Si fa mostrare la nostra auto, che ci sembrava così bella,
così grossa, così alta e così quattroperquattro, e la sua espressione ci
fa capire che è meglio se ci diamo alla raccolta di funghi (puffi
compresi, volendo
),
che il fuoristrada non fa per noi … vabbè, arriveremo solo ad Animas
Forks, che è facile (seee) e poi torneremo indietro. Peccato, ma non è
il caso di rischiare, che poi l’assicurazione ci fa neri più della Rogue.
La pioggia dapprima leggera non ci ferma e andiamo a spasso in cerca di
spunti fotografici, anche se ieri abbiamo già ampiamente apprezzato la
cittadina che è bellissima anche con un cielo così bigio … ma poi gli
scrosci si fanno più intensi e visto che più o meno è orario di pranzo
(orario ospedaliero, ma vabbé
)
e che ci è comparso davanti uno dei locali che ci siamo segnati per
assaggiare le Rocky Mountain Oysters, decidiamo che una pausa ci sta
tutta.
(ma io vi amo!!!
)
In attesa di un posto a sedere, qui l’orario ospedaliero va per la
maggiore, andiamo a curiosare nel negozio adiacente, gestito da nativi …
a un certo punto Paolo mi abbandona per andare alla conquista del
tavolo mentre io imperterrita continuo a vagare toccando tutto e ne esco
con una considerevole quantità di acchiappasogni, un po’ di
chincaglieria da regalare e una collana per me. Paga e pacchettosa torno
dal mio bello, e procediamo con l’ordinazione di un paio di piatti
normali e delle oysters di cui sopra. Per chi non sapesse cosa siano,
ecco un’esaustiva e pittoresca descrizione: “Skinned, sliced, battered, deep-fried animal testicles”
… direi che non c’è bisogno di tradurre né di spiegare come mai da
giovane avrei reagito con un urlo di raccapriccio a cotanta proposta
culinaria. Per fortuna invecchiando divento sempre più curiosa e
temeraria, anche se continuo a provare un’avversione mortale per
quell’orrendo abominio vegetale che risponde al nome di piselli
I locali dicono che le oysters “tastes like nuts”, e al di là dei facili doppisensi non posso che confermare, aggiungendo che alla fine, fritta è buona anche una ciabatta
.
Soddisfatti dall’esperienza, e decisamente sazi date le porzioni da
allevatore di bisonti che da queste parti si ostinano ad ammannire,
terminata l’esplorazione di Silverton ce ne andiamo verso il Mayflower
Mill, poco fuori città: compresa nel biglietto comprato ieri, la visita –
che facciamo praticamente in solitaria – si rivela davvero
interessante, soprattutto quando faccio partire l’allarme con troppo
entusiasmo
(si, qua si può toccare tutto, pigiare tutto, sperimentare tutto).
Qui venivano divisi e lavorati i materiali estratti dalla miniera più in
alto, e seguire tutto il ciclo della lavorazione, necessaria per
separare l’oro, l’argento e gli altri materiali preziosi dal terriccio è
stato per me davvero affascinante … lo so, forse suona strano per
l’eterea fanciulla che sono
ma la mia curiosità ha davvero pochi limiti, più o meno tutti concentrati nell’area del cervello dedicata allo shopping, temo
Il mulino è rimasto in attività fino al 1991, e negli oltre sessant’anni
della sua impegnativa vita sono state lavorate qui circa 9.700.000
tonnellate di estratto. Numeri che non riesco nemmeno a immaginare
lontanamente, è come se avessero tritato una montagna! Le spiegazioni
sono ovunque chiare e copiose, il tempo si è fermato all’ultimo giorno
di lavoro, mi commuove e mi intenerisce entrare nell’ufficetto di uno
dei responsabili delle varie linee di lavorazione e vedere il calendario
ancora fermo sul mese della chiusura, con gli appunti scribacchiati
sulle varie date, i turni sulla lavagnetta, il casco protettivo e i
guanti che stanno lì come ad aspettare il proprietario … il tempo, come
sempre quando siamo coinvolti, ci vola troppo in fretta, e dobbiamo fare
un po’ di corsa l’ultima parte per non perdere il tour guidato alla Old
Hundred Mine qualche miglio più avanti. Resterà indelebile in me il
ricordo della quantità di palle di ghisa di tutte le dimensioni, qui
usate a suo tempo per meglio frantumare i materiali da separare, che ho
sentito un giorno mai dimenticato definire come un meraviglioso
antistress … provate un po’ a tirarne una in testa a chi vi rompe le
balle e sappiatemi dire
Il tour della miniera ci RIMBAMBINISCE definitivamente: un ex minatore
ci accompagna nella pancia della montagna con il vecchio trenino per il
trasporto di materiale e uomini, ci mostra e ci racconta una vita
durissima, condotta in condizioni davvero estreme, in un ambiente
malsano, soffocante e claustrofobico. Io non soffro gli spazi chiusi, ma
qui mi devo sforzare di non pensare a dove siamo, a quale pressione
sopportano queste gallerie scavate nel ventre della terra, alla fatica
di vivere di chi ha trascorso qui interi anni della sua vita … ma non è
una visita triste, tutt’altro, ce la godiamo tantissimo nel nostro
impermeabilone giallo e nel caschetto da minatori, tutto quello che
racconta la nostra guida ci affascina.
(il mio pandone è fotogenico anche a testa in giù
)
È solo quando ci si ferma a pensare che questi racconti non sono
racconti, ma vissuto realedi tante persone, che l’angoscia può prendere
alla gola. Ne usciamo respirando a pieni polmoni e sentendoci un pizzico
più fortunati del solito, e concludiamo la nostra avventura giocando al
piccolo cercatore … le foto non abbisognano di spiegazioni,
sghignazzate e invidiateci a piacimento, vi dirò solo che le mie mani
non erano così surgelate neanche quando ho fatto il pupazzo a mani nude
dopo la nevicata del Cinquantasei
(il nostro tesssssoro)
Giornata intensa, dite? Beh, non è ancora finita … adesso è il turno di
Animas Forks, uno dei momenti che aspetto con più trepidazione, visto
anche come mi sono innamorata di Bodie un anno fa. E poi, Alpine Loop! O
almeno questo è quel che c’è scritto sul travelbook ... il meteo è
tutt’altro che migliorato, e la strada non è esattamente in perfette
condizioni, dopo un primo tratto più che accettabile: okay, abbiamo il
4x4, ma le piogge hanno lavato via lo strato superficiale di terriccio
lasciando allo scoperto sassi e rocce appuntite … io neanche ci
proverei, ad affrontare una cosa simile, oltretutto con il fiume che
scorre alla mia destra molto più in basso, ma con Paolo sono
tranquillissima, potrei andare anche in cima all’Everest con lui alla
guida. Ah, non ci sono strade? Vabbé, pazienza, niente Everest
(guardate quanto è bell...
quanto sono appuntiti e rognosi i sassi del fondo stradale)
Però … però, per la prima volta in due anni lo vedo un po’ teso al
volante. Di solito su queste strade se la gode come un bimbo, mentre ora
la sua faccia trasmette più nervosismo che piacere … manca solo un
miglio ad Animas Forks quando mi dice che non se la sente di andare
avanti. E’ vero, abbiamo incontrato persino qualche berlina, ma i mezzi
che salgono e scendono sono perlopiù ATV a noleggio, con ben altro tipo
di pneumatici rispetto ai nostri, ben altri ammortizzatori e ben altre
altezze del sottoscocca. In condizioni diverse, senza pioggia e con meno
freddo, proporrei di mollare la macchina in uno spiazzo e salire a
piedi, ma la giornata è veramente pessima, fa freddo e la pioggerella
gelida taglia il viso come una lama. Non mi passa nemmeno per la testa
di dire “ma dai, è solo un miglio”. Se uno che guida come Paolo non se
la sente, non si fa e pace.
Per l’Alpine Loop avevamo abdicato praticamente già al Visitor Center a
Silverton, alla città fantasma invece contavamo proprio di arrivare, ma
pazienza, la tranquillità e le gomme della nostra Rogue valgono di più.
La prossima volta prenderemo a noleggio per una giornata uno di questi
cosi dall’aria sporchevole e ci divertiremo come pazzi in tutta serenità


Torniamo verso Silverton per imboccare la strada asfaltata che conduce a
Ouray, la Svizzera d’America, nostra tappa per la notte. Lungo il
percorso facciamo diverse soste, e davanti a questo panorama maestoso e
bellissimo nonostante il cielo inclemente
veniamo abbordati da una simpatica coppia di Seattle in viaggio di
nozze: ieri erano sul treno con noi, anche se io non me li ricordo. Loro
ci hanno notati perché “voi eravate quelli eravate sempre in giro per il treno con le macchine fotografiche serie”
… e li ritroviamo poi ad ogni sosta lungo la strada, sicché alla fine con grandi risate ci decidiamo anche a presentarci.
(lacrimuccia, qui saremmo dovuti sbucare al termine dell'Alpine Loop)
(sti vandali ...
)
(anticipazione dall'album Panda che vivono pericolosamente, in esclusiva per voi)
Raggiunta infine Ouray, minuscola e carina, troviamo il nostro Chalet Inn Hotel
in una selva di Alpenrose, Edelweiss e Blumengarten che manco in Val
Pusteria: okay, lo ammetto, il soprannome è meritato! Sorpresa delle
sorprese, davanti alla reception sono appesi dei contenitori con acqua e
cibo per … colibrì! Convinta da sempre che si trattasse di bestiole da
climi tropicali, mi godo la sorpresa felice come una bimba, sono
meravigliosi anche se quasi impossibili da fotografare decentemente (ma
aspettate Paolo
)
Per cena ci siamo segnati un locale che ha nel nome la parolina magica,
Brewery, ci mettiamo un attimo a trovarlo perché Ouray è praticamente
una strada principale con un pò di Stellealpine e Rosedellealpi intorno,
anche se la birra qui è persino più buona. È anche talmente minuscola
che pur essendo sabato sera, il locale è semivuoto – forse anche perché
qui pure la cena è a orari ospedalieri e noi siamo rimasti ostinatamente
sul fuso di Roma. Prima di andarcene, sazi e soddisfatti, scopriamo
anche che il minuscolo laboratorio di produzione della birra si può
sbirciare. Meraviglia!
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