8 ottobre 2023 Tashkent - Nukus - Lago d'Aral

 Domenica 8 ottobre 2023


Oggi ci aspetta il volo delle 7.15 per Nukus, il che vuol dire che il nostro autista, lo stesso della notte dell'arrivo, verrà a recuperarci in hotel alle 5 ... in realtà, solerte come pochi, alle 4.35 è già lì che bussa, e alle 5.30 siamo al terminal voli nazionali a fare colazione con i favolosi biscotti del Chorsu Bazar rimediati ieri, dopo aver passato check in e controlli. 

Una nota dolorosa: il povero Paolo non riesce ad ottenere il suo cappuccino con latte freddo al bar dell'aeroporto: dopo i giappi, un altro popolo più tosto di lui (che sostiene però che "sono gnucchi, non tosti!")

Il volo, pieno, pienissimo di carampane - locali e non - tra le quali ormai a buon diritto mi posso annoverare anch'io, parte puntuale e atterra in anticipo, dopo un'ora e mezzo di sorvolo delle steppe dell'Asia centrale ... io che sto leggendo Il Grande Gioco di Hopkirk mi esalto nell'immaginare le spie russe e inglesi che percorrono a dorso di cammello queste lande inospitali, travestite da locali, a volte lasciandoci le bucce ma vivendo sicuramente tempi interessanti 













L'edificio che porta il pomposo nome di Aeroporto di Nukus è una scatoletta minuscola, che raggiungiamo a piedi dalla pista, e ospita il nastro bagagli - uno e lungo mezzo metro - e la porta di uscita, che varchiamo dopo un paio di pipì e una breve trepidazione per la nostra sempre unica valigia.





Un nuovo cartello BARBARA PERLINI, dietro il quale c'è Amir, ci attende appena fuori l'edificio. Amir è un signore di sessantun anni e altrettanti denti d'oro che vive facendo la spola tra Nukus e le coste dell'attuale Lago di Aral con i turisti ... parla un inglese molto basic ma è simpatico, gentile e si fa capire benissimo. A Paolo in aeroporto non solo hanno negato il cappuccino, hanno anche requisito l'accendino - capite il dramma? stiamo andando nel deserto! - e quindi ci facciamo accompagnare in un supermercato locale, dove Amir ci invita a comprare anche gli alcolici per cena perché "allo yurt camp costano moltissimo!". Questo è il viaggio dove in assoluto abbiamo bevuto meno, l'età avanza, ma se avessimo voluto una bottiglia di birra a cena, al Camp ci sarebbe costata almeno 80 cent di euro

Felici proprietari di ben due accendini, partiamo in direzione Muynak (o Moynaq, dopo l'indipendenza è stato deciso di traslitterare in alfabeto latino dal cirillico la lingua uzbeka, e sono nate diverse versioni di quasi tutti i nomi) sulla Toyota 4X4 che ha "milioni" di chilometri e diciassette anni ma che è pulita come la mia microKia non è mai stata dopo aver lasciato il concessionario, e tenuta un gioello. 








Arriviamo dopo oltre tre ore di viaggio in un paesaggio insieme monotono e ipnotico, tra campi di cotone, sabbia, desolazione, radi villaggi ... tanta solitudine ha una bellezza tutta sua, anche se certo non fa venire voglia di trasferirsi qui. 





A pranzo ci aspettavamo un qualche baraccio locale, ma ... sorpresa, a Muynak non ci sono locali pubblici, c'è soltanto un vecchio albergo scalcinato nel quale immagino ben pochi coraggiosi prendano una stanza. Amir si ferma davanti a un cancello in una via secondaria, viene ad aprirci una anziana babuska che ci fa accomodare in una delle stanze di casa dopo averci intimato di togliere le scarpe, via via agli altri tavoli preparati nei diversi locali si accomodano altri viaggiatori come noi, mentre gli autisti, in un clima palesemente allegro e cameratesco, mangiano tutti insieme sdraiati all'uzbeca maniera.












I tappeti sono bellissimi e morbidissimi, la tappezzeria è sicuramente discutibile, la cucina per fortuna è ottima: ci servono una zuppa e un piattone di carne, carote e patate davvero gustoso, e delle focaccine ripiene di patate e cipolle che sono una delizia. Entrare in una casa vera è una bella esperienza, e non ci dispiace contribuire a far girare un pochino un'economia strangolata dal disastro ecologico. 

Muynak era il più grande porto uzbeco sull'Aral, che a sua volta era il quarto lago al mondo per dimensioni. Fino agli anni sessanta misurava oltre 68 milioni di kmq, oggi arriva a stento a 8, una catastrofe ecologica e umanitaria provocata dalle scelte dissennate della dirigenza dell'Unione Sovietica, che ha imposto all'Uzbekistan la coltivazione del cotone, SOLO cotone, che richiede quantità d'acqua spaventose e impoverisce terribilmente il terreno, richiedendo quindi l'uso di fertilizzanti chimici e altra acqua, in una catena perversa che ha distrutto economia e ambiente. 

A Muynak si viveva di pesca e di industria conserviera, ora che il lago non c'è più si vive di ... boh? di turismo sicuramente, ci sono diverse agenzie che organizzano il giro che stiamo facendo noi, e alcune famiglie si sono organizzate per la ristorazione casalinga di cui abbiamo potuto godere, ma questa è una delle città più desolate che abbia visto nei miei viaggi, triste come Kayenta ma più polverona e solitaria. 

Dopo pranzo ripartiamo in direzione del cimitero delle navi. Cimitero dei sogni e del futuro delle ultime generazioni nate qui. Non mi perdono di aver detto "Che figata" la prima volta che ne ho visto le foto, anche se non sapevo ... per quanto fotogenico sia il posto, il cuore diventa piccolo piccolo nel sentirne la storia dolorosa. 












































Visitiamo anche il piccolo e toccante museo che racconta la storia di questo angolo di mondo, vediamo le foto di una cittadina viva, di una flotta da pesca di tutto rispetto, di una fabbrica grande e in piena attività. Purtroppo l'Amu Darya e il Sir Darya, principali affluenti che alimentavano l'Aral, sono stati sfruttati in modo disumano per il cotone prelevandone le acque tramite un sistema di canali di irrigazione, e a partire dagli anni cinquanta il lago ha iniziato pian piano a morire. 

Com'era (1989) e com'è (2014): 










Ha senso venire fin qui? è sciacallaggio? è curiosità morbosa? Per noi il senso l'ha avuto, ce ne siamo andati un po' più tristi, sempre più consapevoli di quanto schifo possa fare l'umanità, di quale miopia possa dar prova nei confronti del futuro. Ma ci portiamo via anche immagini bellissime che riempiono gli occhi, la simpatia di Amir, la gentilezza delle persone che abbiamo incontrato e che hanno saputo farci sentire accolti anche se l'unica parola uzbeca che conosciamo è RAHMAT (che qui ci hanno insegnato si pronuncia RAHMET, perché siamo in Karalpakstan, e i karakalpaki ci tengono, anche se hanno almeno in apparenza rinunciato alle rivendicazioni indipendentiste).

Dopo il museo ci aspettano tre ore e mezza di african massage su quello che era il fondo dell'antico lago, fatto di piste e pozzi di estrazione (è una zona ricchissima di metano, che qui costa 25 cent di euro al chilo), di desolazione e bellezza. Le soste fotografiche organizzate da Amir ci lasciano spesso a bocca aperta, e con la voglia di versare una lacrima di gratitudine. 



























Dopo il Canyon di Ustyurt e il cimitero dei nomadi arriviamo in vista delle sponde del lago giusto al tramonto, e increduli scopriamo che oltre ai fenicotteri c'è anche qualcuno che fa allegramente il bagno a dispetto del freddo caino























Finalmente posso fare pipì! lo yurt camp è spartano, siamo letteralmente nel mezzo del nulla su un altopiano a poca distanza dalla costa, il panorama è bellissimo e la stellata meravigliosa. Veniamo subito spediti a cenare, ci rimpinzano con pane, focaccine di patate e cipolla, insalata di cetrioli, arachidi, frutta essiccata (le albicocche 💖) e un enorme piatto di riso pilaf, o di plov che dir si voglia. 








Ci prepariamo volonterosamente per la nostra seduta fotografica notturna, ma il mondo cospira contro di noi: sono solo le otto e le luci del campo verranno spente a mezzanotte, fa un freddo caino e tira un venticello niente affatto simpatico ... a malincuore decidiamo di rinunciare e ritirarci nel nostro freddo appartamento. In realtà alla fine la yurta si rivelerà molto meno fredda e scomoda di quanto ci aspettassimo, e ci faremo entrambi una nanna saporita, interrotta verso le tre da una flebile vocina ... "Pandino, pipì!"









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