13/08/15 – Los Angeles - La versione di Barbara

GIOVEDI’ 13 AGOSTO 2015 – LOS ANGELES


Ultimo giorno pieno in terra americana, ma non abbiamo alcuna intenzione di farci prendere dalle malinconie. Il programma di oggi prevede, in teoria, un giro abbastanza rilassato nel “centro” (ehm) di Los Angeles, con la Mission, la Walt Disney Concert Hall, la zona sciccosa di Rodeo Drive a Beverly Hills - oddio, è a Beverly Hills, vero? – e Hollywood Boulevard, più i LaBrea Tar Pits e il tramonto al Griffith con proiezione al Planetario … però l’altro giorno non siamo riusciti ad andare a Chino. E allora?

Allora, con encomiabile slancio mi sacrifico ed elimino dal programma Rodeo Drive e quelle balle lì – casualmente le sole proposte di Paolo a cui avevo risposto … gneeee, se è proprio necessario … - e dopo una sommaria colazione in camera, visto che il Motel 6 offre solo il distributore di bevande calde i biscotti ce li siamo già procurati, partiamo in direzione Planes of Fame Museum.





Appena arrivati veniamo intercettati da Gene, un anziano volontario che ha lavorato come tecnico radio all'aeroporto e che prende immediatamente in simpatia Paolo. Insieme al più giovane ma non meno disponibile collega, che ci informa tutto felice di avere origini italiane, ci accompagnerà per tutto il giro a cui tra un hangar e l’altro dedicheremo suppergiù tre ore.









Lascio a Paolo il racconto più dettagliato, saprà sicuramente renderlo meglio di quanto potrei mai fare io … ma pensare che quelli che sto guardando sono aerei che hanno volato sui nostri cieli settant’ anni fa, che hanno regalato la morte e la salvezza, che le croci dipinte sulla carlinga valgono ciascuna un aereo abbattuto, che questi agglomerati di lamiera e tubi hanno portato libertà e distruzione mi ha messo più di un brivido. Come mi ha emozionata tantissimo assistere del tutto casualmente alle prove di manutenzione a motore acceso di un B-25 Mitchell. Il carburante per cui sono stati concepiti questi motori non esiste più, quello che viene utilizzato ora a lungo andare provoca problemi, ci racconta la nostra guida, e probabilmente bisognerà sostituire quello di sinistra.



La maggior parte degli aerei di Chino è tuttora perfettamente in grado di volare, e viene utilizzata per manifestazioni, celebrazioni e riprese cinematografiche: parte delle entrate del museo arriva proprio dal noleggio a Hollywood, e su questo argomento Gene non è parco di racconti. Conosciamo anche la mascotte, pardon, la padrona dell'hangar



Ci fermiamo molto più a lungo del previsto, ma va bene così: non mi aspettavo una mattinata tanto interessante e un museo così esteso, con tanto di … wildlife, alla cui vista l’irriferibile commento di Paolo è “Yummm, polentina!”







Soddisfatti e felici ce ne andiamo ora davvero verso il “centro” e parcheggiamo accanto alla Missione di Nuestra Senora Reina de Los Angeles. Che dirne? amo la storia, ma la cupa religiosità spagnola con la sua cappa luttuosa mi ha sempre provocato un senso di fastidio e disagio e questa chiesa non fa eccezione, non mi piace e mi respinge, anche se profuma di Storia. Statue morbose grondanti lacrime e sangue, buio, penitenza, colpa ... non fa per me questo posto.



Per tirarci su il morale dopo l’immersione cattolica ce ne andiamo alla Puerta de la Luz, e qui sì che siamo felici! Lurido come piace a noi, questo postaccio messicano dalle porzioni abbondantissime ci mette un gran buonumore: tacos, guacamole, nachos, a noi!









Dopo un rapido giro per la coloratissima Olvera Street ci dirigiamo verso la Walt Disney Concert Hall, passando anche davanti al Palazzo di Giustizia, che a me che non guardo la tv non dice nulla, ma che provocherà gli entusiastici ululati di mia madre, bulimica divoratrice di telefilm su avvocati, poliziotti e cattivi di turno.







Davanti alla Concert Hall mi ritrovo senza fiato, e no, non è colpa della salitona affrontata per raggiungerla: è bellissima, elegante, morbida e insieme imponente. Peccato non poter entrare ma la vista da fuori ripaga comunque della camminata.





Paolo non si sente del tutto a suo agio in questa zona, a me invece non comunica alcuna brutta sensazione, nonostante i molti senzatetto, più numerosi qui che a San Francisco e Las Vegas, che mi provocano la consueta stretta al cuore.

Paolo si accorge subito che mi rabbuio alla vista di una signora anziana e del suo cagnolino, accoccolati accanto alle povere masserizie che parlano di miseria e disperazione. Lo so, lo so da tanto tempo che non posso salvare il mondo, ma non posso farci niente, i pensieri partono in loop e mi scende una tristezza indicibile … per dissiparla Paolo mi propone una tappa a cui a malincuore avevo rinunciato in favore di Chino: i LaBrea Tar Pits, che ha scoperto tempo fa guardando un documentario e mi ha subito proposto.





Partiamo quindi subito in direzione di LaBrea, e arriviamo circa un’ora prima della chiusura del museo, che per nostra fortuna è piccino e riusciamo a visitare per intero. L’esposizione ospita gli scheletri recuperati a partire dall'inizio del secolo scorso durante i lavori di estrazione dalle pozze di catrame (brea in spagnolo, appunto) di questa zona petrolifera del tutto incongrua nel centro della grande città, scheletri risalenti a circa 38mila anni fa: mi commuovo davanti al mammutino, risucchiato con la sua mamma e con centinaia e centinaia di altre vittime da queste sabbie mobili di petrolio che non lasciano scampo, ma che ci hanno tramandato come fonti preziose e intatte di conoscenza quello che resta dei pelosi e meno pelosi di qualche milione di anni fa.





Ci perdonino ora gli amanti dei cani , dato che già di mio nasco gattara e ho contagiato il mio innocente compagno: davanti al cartello esplicativo che ci informa che sono state ritrovate, insieme ai 1400 crani di canidi che vediamo esposti a tutta parete, solo 80 teste di felini, ci scambiamo il commento di solito riservato alle “scene pietose con marmocchio urlante”: GATTO, GATTO, GATTO!

A fine giro, intravedo dei personaggi che compiono strani gesti dietro una parete in plexiglas, sulla quale vado subito a spatasciarmi, presa da eccessivo entusiasmo ma subito riportata all’ordine da Paolo che mi rimette dietro la riga per i visitatori. Guarda! ci sono i paleontologi che paleontologano! come una bimba me ne starei per ore a guardare questi signori con il camice che spolverano e spennellano ossicini minuscoli, lo compongono, li studiano … quanto mi affascina la scoperta, qualunque scoperta!

Cacciati fuori alla chiusura, completiamo la visita con un giro nel parco e davanti alle pozze di catrame che ancora sbuffano e puzzano qui davanti, e mentre ci avviamo verso l’auto diamo inizio a una delle nostre conversazioni di alto livello: e così Babi i paleontologi paleontologano, eh? ma certo! e i chirurghi chirurgano? ovvio!

E i panda, aggiungo … i panda pandano, mi risponde. Pensavo pandeggiassero, dico io, credendo di vincere la palma del più scemo. Vengo subito delusa dalla pronta replica … no, pandeggiano solo quando non hanno un caxxo da fare!



E vabbè … hai di nuovo vinto tu . Per consolarmi propongo allora di pandeggiare ancora un po’ nel parco, ci sediamo sull’erba e diamo fondo alle riserve di mandorle sgusciate, dividendole fraternamente con il Timidoiattolo, poco disposto a fare amicizia ma pronto a sacrificarsi per non farci ingrassare ancora di più





Sono ormai le diciotto, e partiamo per il lungo viaggio che ci porterà al Griffith attraversando galassie diverse, zone degradate e quartieri di villette che trasudano ricchezza, vie commerciali e zone di passaggio e passeggio … questa città è incredibile, non è bella, non ha fascino e non c’è magia ma mi piace. Credo che ci tornerò, anche se stavolta ho scampato Rodeo Drive e la prossima mi tocca … ci sono altre cose che voglio vedere.



Risalire la collina mi fa capire cosa provano i salmoni quando nuotano controcorrente … c’è un concerto di Lenny Kravitz al Greek Theatre, subito sotto l'Osservatorio e il casino è notevole, per usare un eufemismo. Sgusciare via per arrivare in cima non è impresa da poco, ma il sangue freddo di Paolo aiuta e alla fine parcheggiamo vittoriosi a circa un chilometro dalla nostra meta. Ecco, questa parte l’ho davvero amata, ancora prima di scoprire che del tutto casualmente posso anche godermi LA scritta, che non avrei nemmeno cercato e mi appare sulla collina a sinistra.





Per prima cosa appena aprono le casse prendiamo il biglietto per la proiezione delle 20.45 al Planetario e poi ci mettiamo a vagabondare a caso all’esterno, stranamente nessuno dei due ha troppa voglia di dedicarsi al museo, forse per oggi ne abbiamo imparate abbastanza di cose? non credevo di avere un limite, mi sa che sto invecchiando

L’attesa del tramonto, sia pure in mezzo a una discreta folla, è davvero piacevole, e mi regala delle belle emozioni. Sono la solita pigrotta e non ho preso il cavalletto, quindi le foto belle della città illuminata le fa solo Paolo, mentre io mi diverto a zigzagare tra la gente godendomi l’atmosfera e rubando qualche scatto.











Quando cala il buio arriva finalmente il momento di mettersi in coda per lo spettacolo … e l’unica critica che posso muovere è l’eccessiva comodità delle poltroncine che permettono la vista a 360° sull’interno della cupola … dopo una giornata come la nostra, il rischio che cali la palpebra è altissimo!

Sono ormai le 21.30 quando usciamo, c’è ancora parecchia gente che si gode le luci della città, ma la fame mi rende totalmente insensibile alla poesia, e Paolo decide che … ci sta anche Hollywood! così la cena ci aspetta da Johnny Rocket (che non ha la birraaaaaaaa ) e la passeggiata post cena mi porta a concludere la serata salutando il Paolo più bello del mondo dopo il mio, che ha lasciato le sue impronte davanti al Chinese Theatre insieme alla seconda amatissima moglie … mi piace sta cosa





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